villaggio è

In occasione del 61° Festival dei Due Mondi

Albornoz Palace Hotel
Spoleto 28 Giugno, 28 agosto 2018

VILLAGIO È
Maurizio Cancelli rivive in sé la dimensione prettamente umanistica del pittore-architetto. E’ come un Leon Battista Alberti, un Francesco di Giorgio Martini, un Piero della Francesca redivivi. Ma, in proposito, può essere addirittura proposto un esempio che non si potrebbe immaginare più emblematico. Il misterioso pittore che nella seconda metà del Quattrocento dipinse quel mirabile capolavoro da tutti noi oggi chiamato la Città Ideale (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche) manifesta una mentalità e un intento analogo a quello che oggi Cancelli assume su di sè.
Rappresenta, infatti, una città completamente priva di presenze umane ma permeata da una profondissima e intensissima umanità, dove per “umanità” si voglia intendere una comunità organizzata per garantire e propagare quel senso di appartenenza, condivisione e gioia del vivere per le quali l’Arte è, per così dire, al servizio dell’ essere umano e ne rappresenta quella istanza suprema di libertà e bellezza che rende la vita degna di essere vissuta.
L’architettura dipinta diventa simbolo e allegoria dello spazio vitale, per cui, paradossalmente, non vi è necessità di rappresentare le persone ma l’ essenza del loro stare al mondo.
La Città Ideale adombra, così, l’idea della comunità che ci tiene uniti diradando l’angoscia della solitudine e della separatezza.
Maurizio Cancelli è su questa stessa linea d’onda ma, naturalmente, la sua non è soltanto una evocazione dello spazio umanistico a misura d’ uomo e riflesso vero della sua essenza.
La ricomposizione di strutture architettoniche dipinte, infatti, nel suo caso non significa formulare l’immagine di una città più o meno ideale. Questa dimensione quasi scompare nel lavoro estetico di Cancelli e subentra l’idea di rappresentare lo sguardo stesso di chi si pone davanti all’ opera d’ arte, anzi gli sguardi unificati dall’unità della antica idea della prospettiva rinascimentale rivissuta secondo un’ottica addirittura avveniristica.
Cancelli, dunque, costruisce un radioso e al contempo delicato apparato visivo contesto di forme architettoniche che svettano e si infittiscono in un insieme rievocante la Scena Teatrale palladiana, con il criterio di farci vedere una miriade di punti di vista che si concentrano sulla stessa linea dell’ orizzonte. E’una concezione che coniuga l’idea rinascimentale, appunto, della prospettiva centrale con quella, mentale e in qualche modo astratta, del sistema costruito dalla linea, del punto e dalla superficie sulla cui base Vasillij Kandinsky elaborò le sue mirabili teorie dello Spirituale nell’Arte.

Villaggio è ...
Disegno geometrico con punti prospettici in movimento sulla stessa linea d’orizzonte
Parte esterna del Progetto Berlino
cm. 1720x300

La struttura delineata da Cancelli, infatti, è dimostrazione visiva della tesi cruciale del maestro, maturata nel concreto della sua esperienza esistenziale e affine a quell’ eletto pensiero formulato tanti anni fa da Joseph Beuys, un artista per più versi vicino al pensiero di Cancelli, e cioè che l’Arte è sostanzialmente la scienza della libertà. Cancelli ha maturato una concezione analoga e l’ ha applicata al suo criterio di individuazione di un’idea di comunità che da un lato assume respiro universale e totalizzante, e dall’altro onora quell’ istanza del radicamento alle proprie origini, alla propria terra, al proprio lavoro e al conseguente ritmo della vita e del pensiero che il maestro umbro ha raggiunto assumendo su di sé l’eterno problema della stanzialità e della migrazione, che nella storia della sua terra risultano emblematiche. Un luogo, il villaggio che reca il suo stesso nome Cancelli, connotato di tradizione agreste e metafisica insieme, dove una pia tradizione narra come i SS. Pietro e Paolo avessero lasciato un segno profondissimo di presenza, che abilitò gli abitanti di quella comunità ad acquisire la potenza taumaturgica loro consegnata dalla benevolenza dei due principi degli apostoli che sono stati lì accolti quando ebbero bisogno nel loro lungo viaggio e restituirono una porzione di quel loro immenso potere a testimonianza di una sorta di forza tellurica che si è incardinata a quelle terre. Ma questa potenza non basterà nei secoli successivi ad assicurare la sopravvivenza stessa della piccola comunità. Il villaggio di Cancelli si spopola. Solo Maurizio che del suo villaggio reca il nome prende su di sé l’incarico del mantenimento, della salvaguardia, della difesa.
E proprio la Difesa diventa la sua missione.
Difendere che cosa?
Il proprio essere, si risponde Maurizio Cancelli, che coincide con quello della comunità.
Ma, approfondisce, non la comunità di Cancelli, ma la Comunità in sé e per sè. La patria dell’ essere umano. La patria, sempre minacciata e sempre necessitante di spiriti eletti, nel senso quasi letterale del termine, che si facciano difensori di ciò che altrimenti andrebbe distrutto e perduto.
Ma ciò che andrebbe distrutto è appunto la quintessenza dell’essere umano: la sua libertà e la sua possibilità di vivere nell’ agio, intendendo tale parola come l’ opposto del disagio, non quindi come lusso, superfluo, ostentazione.
E allora la costruzione figurativa di Maurizio Cancelli significa appunto questo, e adesso viene calata in un progetto complessivo che si rintraccia in diverse fasi tutte unite da una stessa concezione di fondo.
E’ la concezione che si vede, molto ben espressa, nell’ ottobre del 2015 quando Cancelli potrà presentare al Palazzo delle Nazioni di Ginevra, sotto l’egida della Comunità agraria di Cancelli, il progetto “Villaggio terra” illustrato proprio come “ risultato di una ricerca artistica per la difesa del territorio montano del Villaggio Cancelli, nel cuore dell’ Umbria, iniziata più di trenta anni fa da Maurizio Cancelli”.
Villaggio terra è un’ installazione e tutta la strategia creativa di Maurizio Cancelli si muove sempre più vero l’ idea dell’ Installazione per cui anche le sue opere pittoriche vengono adesso organizzate e presentate in tale forma dove l’ elemento singolo è pensato come parte organica di un presenza figurativa che viene percepita quale difesa, tutela, garanzia di valori etici ed estetici tutti scaturenti da questa idea di villaggio vissuto nel concreto lavoro dell’ agricoltura e della pastorizia, per cui il gregge che Maurizio Cancelli ha voluto e curato diventa a sua volta il gregge dell’ arte e degli affetti. 

Oltre il tramonto, riflessioni cromatiche respinte
olio su tela - oil painting on canvas
cm. 80x60x6,5

Nel villaggio di Cancelli, Maurizio ha voluto poi, nel corso del tempo, la presenza di altre installazioni di artisti conclamati che sono stati in qualche modo testimoni di questa istanza di universalità che attraversa tutta l’opera del maestro. E adesso è Cancelli stesso a pensare in termini di installazione e in termini di attraversamento.
Nel progetto che adesso si presenta fondamentale infatti è il discorso sulla luce che permea le strutture dipinte e diventa fattore di esaltazione e di animazione universale in questa specie di inno alla gioia che Cancelli vuole erigere a beneficio di tutti coloro che si sentano di entrare in sintonia col progetto stesso.
Il punto di partenza è stato denominato da Cancelli medesimo “Il Villaggio è…..”
Si tratta dell’ampliamento di quella semplicissima idea strutturale del parallelepipedo che diventa metafora del Villaggio universale dove tutte le forze convergono e si depositano in un ambiente evocante il sogno rinascimentale che parte di Giotto, attraversa Ambrogio Lorenzetti e il suo immortale Buon Governo del Palazzo Pubblico di Siena e arriva fino ad oggi, come fosse un’ astronave del Tempo planata adesso nel progetto Berlino.
E’ qui quel principio unificante della linea dell’orizzonte che tutto comprende e su cui si allineano i tempi di visione. L’ idea kandinskiana che si modella all’ interno dello spazio rinascimentale in una specie di andirivieni della Storia, dove il passato umanistico, il presente dell’astrazione e il futuro di una possibile riorganizzazione di una nuova e più confortante concretezza, vivono fervidamente. E a questo si connettono gli studi di architettura umanistica ( anche questa definizione spetta a Cancelli stesso) fondati sul principio della luce che entra, penetra e definisce lo spazio, secondo una suggestione che a buon diritto potrebbe definirsi religiosa ma di una laica religiosità che non contraddice ma anzi incoraggia quella origine socialista che in Cancelli è profonda e forse determinante e che si evolve coerentemente con l’ evolversi della sua arte.
Le sue opere pittoriche sono adesso come degli acceleratori nucleari in cui la luce corre secondo le più accreditate teorie della fisica moderna. La sua struttura figurativa che assume le forme di una trasfigurata città rinascimentale è, in realtà, metafora dell’idea della attivazione della materia che deflagra e dilata lo spazio e il tempo, quasi che nelle immagini di Cancelli si incontrasse l’ antichissimo principio espresso da Dante nella Commedia all’ ingresso del Paradiso( “la gloria di colui che tutto move/ nell’ universo penetra e risplende/ in una parte più e meno altrove…. ) con i supremi principi della termodinamica. A imperitura dimostrazione che l’Arte ha proprio il privilegio di non essere mai né antica nè moderna ma di essere. 

Così i tre elementi basilari del movimento ( entrata, percorso, uscita ) sono precisamente quelli dell’ immagine concepita da Cancelli e tradotta in una sorta di installazione perenne che potrebbe svilupparsi all’ infinito e restare, al contempo, nella pienezza dell’ “hic et nunc”, del punto. Questo onora un altro principio molto presente in Cancelli: che non esiste la Natura ma il luogo naturale e di questo parla la sua Arte. Intervistato, Cancelli ha espresso la sua predilezione per Masaccio, da un lato, i cui presupposti sono in effetti quelli stessi da lui ricercati per tutta la vita e per la Venere di Willendorf ( Vienna, Museo di Storia Naturale) una delle più antiche sculture esistenti sulla faccia della Terra ( è datata 23.000 anni fa!) alta un decina di centimetri, quella statuetta primordiale che ha a suo contenuto profondo proprio l’origine stessa della vita e della felicità creativa, della fertilità e della protezione, un “ grido alla vita” la definisce il maestro.
Quella donna è una abitatrice di quella che Cancelli definisce l’ Economia dell’ Eden e, del resto, ci ricorda in perpetuo la riconquista del Paradiso perduto
Ci aiuta a intravedere, da un remotissimo passato, una prospettiva di futuro felice, uno spazio vivibile, un luogo di conforto.
In questa idea dell’Arte Cancelli si muove con originalità notevole e profondo acume e capacità di comprensione delle cose.
Nel corso del Novecento alcuni maestri insigni hanno intravisto una realtà analoga ma su presupposti diversi. Il grande incisore Maurits Cornelis Escher, ad esempio ha edificato strutture figurative formidabili e gracili insieme, che possono essere paragonate con le indagini pittoriche di Cancelli, ma su un piano più squisitamente geometrico e matematico nell’ottica della meraviglia e dello sconcerto fattori che non appartengono all’ immaginario visivo di Cancelli.
Così il grande pittore Fabrizio Clerici nella seconda metà del Novecento immaginò visioni di luoghi ricostruiti da un’ arte in cui un flusso luminoso continuamente mutante e fortemente suggestivo già proponeva quel tema, così caro poi a Cancelli, del colore concepito come una sorta di sfida alla luce, criterio che guida tutta la piena maturità del pittore umbro e ne determina il sentimento più profondo. Ma in Clerici tutto questo era una sorta di aspetto collaterale, ancora legato alla dimensione metafisica e surrealista del dipingere, una dimensione che non è condivisa da Cancelli, volto invece verso il fronte dell’ etica e di quella rabbiosa mitezza che veicola a chi lo osserva con inesausta energia e voglia di comunicare e convincere quasi che non esistessero per lui opere singole ma un’ unica immensa opera che a mano a mano si compone e si presenta a noi onde ci si possa come vivere dentro.
Una manovra di avvicinamento cominciata all’ inizio degli anni ottanta del Novecento e in pieno sviluppo, nata sotto gli auspici di personalità artistiche di formidabile rilevanza e di potente afflato come Giulio Paolini o Fabio Mauri, per non parlare di critici eminenti compagni di strada, come Italo Tomassoni, Boris Ulianich, Bruno Corà, tutti concordi nella non scissione tra l’Arte e la Vita, tra l’istanza sociale e politica e la costruzione della forma coerente con quegli ideali.
Così Cancelli ha avanzato con implacabile volontà e determinazione. Ha formato un gregge, prima per sua figlia, poi per consolidare la sua azione nella sua terra. Ha governato il gregge e il gregge è diventato la premessa necessaria dell’opera d’ arte e lo ha accompagnato a costituire una sorta di luogo magico che, allora, andava difeso a tutti i costi. Qui nasce il vero rapporto con la Natura, nasce l’ idea di sfidare il Tempo e la solitudine con l’ opera d’ arte, nasce l’ idea in base a cui per onorare questo impulso si possa e forse si debba eliminare la figura umana dallo spazio pittorico, una vera eresia in apparenza che è invece garanzia di salvezza e di identificazione certa tra Arte e Vita, secondo un progetto estetico che scaturisce dallo spirito comunitario, dall’ amicizia, dall’emozione, dalla laica preghiera, dall’ascolto del canto della terra.
Questo canto è forma e struttura. E’ la luce che penetra e muta davanti ai nostri occhi e che ci mette in diretto contatto con la Natura ma proprio attraverso il dotto strumento dell’ Arte.
Uno strumento forte e fragile.
Il gregge è minacciato dal lupo ma anche il lupo rientra a pieno titolo in questo progetto estetico e morale .
Il fine supremo è sentirci a nostro agio.
L’ arte di Cancelli indica una concreta ipotesi in tal senso.

Claudio Strinati